Demoni Urbani, online la terza stagione

Continua l’esplorazione del cuore di tenebra d’Italia, raccontato dai luoghi che ne portano il segno

I nostri ascoltatori più fedeli se ne saranno certamente accorti: è tornata Demoni Urbani, la serie crime ormai diventata cult, che ripercorre i più atroci delitti compiuti nelle città italiane.

La perturbante voce di Francesco Migliaccio ci accompagna nuovamente verso storie criminali conosciute e meno conosciute, alla scoperta del “lato oscuro” dello Stivale. Una narrazione vibrante che, tra indagini sul comportamento umano e descrizioni da medico legale, trasporta l’ascoltatore indietro nel tempo, facendolo sentire parte integrante di luoghi e culture spesso dimenticati. 

Sì, perché per molti versi la grande protagonista silenziosa di Demoni Urbani è lei: la città, con il suo carico di storia e tradizioni, con i suoi abitanti che vedono, mormorano, sentenziano, da dietro una tenda appena scostata o radunati attorno al tavolino di un bar… detentori di una memoria collettiva che, di volta in volta, ci consegna un tassello preziosissimo della nostra cultura.

Demoni Urbani: quando la città è vittima, carnefice e… giudice

Da sempre, in letteratura e al cinema, il crime più di altri generi è votato all’analisi critica del contesto geografico e sociale in cui avvengono i fatti che racconta. Il crime intrattiene infatti una relazione privilegiata con l’ambiente cui fa riferimento: si potrebbe dire che il “luogo del delitto” non è soltanto lo spazio fisico in cui si verifica il reato, ma anche la cultura che permea di senso tale spazio.

È facile immaginare come l’Italia, paese così vivace e variegato, così ricco di tradizioni concentrate in uno spazio ristretto, si presti particolarmente all’esplorazione storica e umana offerta dal genere crime.

Non sarà un caso se, storicamente, nel nostro paese il genere in questione assume addirittura un altro nome, il “giallo” mutuato dalle famose copertine della serie Mondadori. Una testimonianza palpabile dell’influenza che può avere la cultura locale su una tipologia letteraria (e non solo) sempre più ricca, sempre meno associabile a un solo colore.

La “vocazione locale” dell’Italia si riversa sull’interpretazione (e di conseguenza, sulla rappresentazione) di quelle tristi storie delittuose che hanno sconvolto le nostre città. 

“Il paese è piccolo e la gente mormora”… influenzato dal proprio mondo, il giudizio implacabile della comunità locale spesso e volentieri si infiltra tra le pieghe della storia, determinando il corso degli eventi o quanto meno il ricordo che se ne conserverà.

I delitti compiuti da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira nell’immaginario comune diventano “il massacro del Circeo”, Pietro Pacciani (o chi per lui) è conosciuto come “il mostro di Firenze”, Leonarda Cianciulli è “la saponificatrice di Correggio”, Marco Bergamo è “il mostro di Bolzano”, e così via. Il luogo del delitto diventa identificativo del delitto stesso, come condannato a portare nel tempo una cicatrice che non si rimargina.

Una tradizione che spazia dalla carta stampata al grande e piccolo schermo

Numerosissimi autori negli anni hanno colto questo tratto della nostra cultura, sfruttandolo ed esplorandolo nelle loro detective story. Ricordiamo così la Milano noir di Giorgio Scerbanenco, Renato Olivieri e molti altri, la Bologna di Carlo Lucarelli, la borghesia torinese di Fruttero & Lucentini, l’irresistibile Sicilia dipinta da Andrea Camilleri… o ancora, in tempi più recenti, la cupa Aosta vista dagli occhi del vicequestore Rocco Schiavone nei romanzi di Antonio Manzini, e la Napoli anni Trenta di Maurizio De Giovanni con il suo Commissario Ricciardi.

La tendenza italiana a riservare un ruolo particolare al luogo dell’azione si riscontra anche al cinema e in televisione. Senza andare nel dettaglio delle moltissime sfaccettature che l’impronta territoriale presenta nel crime made in Italy sullo schermo, basterà segnalare che a un certo punto la città è arrivata a “invadere” persino i titoli dei film: è successo negli anni Settanta, con il breve quanto fortunato filone dei poliziotteschi, che ci ha regalato titoli come Roma a mano armata, Milano calibro 9, Napoli violenta, Milano odia: la polizia non può sparare… ecc.

Demoni Urbani, la storia italiana del crimine in chiave podcast

Demoni Urbani si inscrive in questa tradizione, portando la voce della città sporca di sangue nell’universo dei podcast: senza porsi limitazioni di tempo, si va dalla Roma di epoca fascista della vicenda di Gino Girolimoni, alla Busto Arsizio delle Bestie di Satana, fino alla Erba di Olindo e Rosa Bazzi (al centro di uno dei nuovi episodi).

Il web è già in fermento: sono infatti migliaia i fan del podcast ideato da Simone Spoladori, che si affrettano a postare commenti, valutazioni, condivisioni ad ogni uscita. A Simone Spoladori chiediamo quale sia, secondo lui, il segreto di questa serie.

«Direi che Demoni Urbani ha permesso e permette agli ascoltatori di ripercorrere fatti di cronaca noti – come la vicenda de Il mostro di Firenze o la strage di Erba – e anche di scoprire fatti decisamente meno noti, come gli omicidi della Stretta Bagnera o la storia del vampiro di Bergamo. Poi penso che il crime abbia successo alla radio perché, non mostrando le efferatezze che vengono raccontate, costringe ognuno a fare i conti con il lato nero della propria immaginazione, e questa operazione ha indubbiamente un fascino perverso. Credo però che l’aspetto determinante per il successo della serie siano le straordinarie performance di un attore fantastico come Francesco Migliaccio».

Che si tratti di una grande metropoli o di un antico borgo, il narratore di Demoni Urbani Francesco Migliaccio si incammina metaforicamente lungo i vicoli e bussa alle porte degli interni che custodiscono i più inquietanti segreti della nostra storia. Ne riascoltiamo suoni e rumori, ne ricordiamo i dettagli processuali, interroghiamo le città nel tentativo di comprendere qualcosa di più sull’orrore che arriva a sconvolgere la realtà di tutti i giorni. 

E le città, dolentemente, rispondono.