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Podcast e media tradizionali: sta iniziando la rivoluzione ascoltabile?

A 15 anni dalla nascita dei podcast, giornalismo, nuovi media e media tradizionali ripensano il loro rapporto con i contenuti audio

A 15 anni dalla nascita dei podcast, giornalismo, nuovi media e media tradizionali ripensano il loro rapporto con i contenuti audio

Nell’ultimo numero della Lettura, l’inserto settimanale del Corriere della sera dedicato ai libri e alla cultura, un articolo riservato ai podcast dedica un’attenzione particolare al nostro Demoni urbani, segnalandolo come una delle più importanti serie gialle in podcast oggi esistenti in Italia. 

Ora, che un giornale si occupi di podcast e, addirittura, ne segnali un po’ da ascoltare ci sorprende solo in una certa misura. Che, però, lo faccia trattando di libri e di contenuti culturali nei formati tradizionali… Beh, questo ci sorprende un po’. Non a caso, a proposito dei podcast, il giornale parla di «fiction a puntate, corsi da ascoltare su smartphone, tablet e altri dispositivi connessi: un’idea in più per queste settimane estive.» 

Tutto ciò ci spinge a riflettere sul rapporto che i podcast hanno con i media tradizionali, il giornalismo e l’editoria.

Ma andiamo con ordine.

Podcasting e webcasting. Tra iPod, Rss, blog; le origini del formato 

Quando, nel febbraio 2004, il Guardian annunciava una audible revolution prossima allo scoppio, il termine podcast non era ancora diffuso. Anzi, in realtà non esisteva nemmeno. Esistevano gli Apple iPod, i file mp3, il sistema Rss, i weblogs (sì, si chiamavano ancora così) e i software “casalinghi” per l’editing audio. Ovviamente, esistevano anche le radio. E queste stavano ormai sbarcando sulla rete per offrire lo streaming gratuito dei propri contenuti. Il Guardian pensava a un grande ritorno delle radio amatoriali e si chiedeva come chiamare questo fenomeno: Audioblogging? Podcasting? GuerillaMedia? 

Ma non finiva qui. Registrare una puntata e diffonderla in rete allo stesso modo di un comunissimo file mp3 (ci ricordiamo tutti Napster e eMule; che nostalgia…) o di un articolo su un blog (ora possiamo chiamarlo così) poteva essere un gioco da ragazzi. Ecco fatto: nel settembre 2004, un tale Dannie Gregoire, in una discussione su Yahoo Groups (altro che nostalgia!), utilizzava la parola ‘podcasting’ (dalla visibile fusione di ‘iPod’ e ‘broadcasting’) per chiedere alcuni consigli riguardo al download e alla sincronizzazione di particolari contenuti audio, commentando tra parentesi «yes, I like making up new words». Nel 2005, Apple iTunes aveva già predisposto la diffusione di tale innovativo formato e ‘podcast’ sarebbe diventata la parola dell’anno secondo il dizionario statunitense New Oxford.

Ma i podcast in Italia restano ancora per lungo tempo una nicchia ignorata dai giornali e dall’editoria

Come si può immaginare, la rivoluzione audio era in là da venire. Per molto tempo ancora i media tradizionali e l’editoria, a parte qualche lodevole eccezione, si disinteressano del formato, specialmente in Italia. Qui, in particolare, quando i podcast cominciano a diffondersi intorno alla fine del decennio, sono concepiti più che altro come delle repliche on demand delle trasmissioni radio. I podcast di un certo rilievo realizzati a partire da contenuti originali e appositamente pensati cominciano a comparire solamente nella seconda metà degli anni ’10. Pensate che ancora a fine 2017, in un articolo sui podcast italiani, Wired definiva il formato come ‘una nicchia’ ed era costretto a iniziare spiegando cosa significasse il termine. «Non sentirete mai fare questa domanda negli Stati Uniti – scriveva –, dove i podcast sono ormai da anni una realtà affermata e rilevante sul mercato.» E citava come esempio, non a caso, Serial, il podcast di giornalismo investigativo che dal 2014 aveva già totalizzato, nel 2017, oltre 250 milioni di download e aveva dato il via al fenomeno delle serie true-crime, di cui il nostro Demoni urbani oggi rappresenta il massimo esempio in Italia. I podcast italiani segnalati dall’articolo sembravano più che altro degli esperimenti. Di questi, l’unico che oggi ha un certo rilievo è Da Costa a Costa, in cui il giornalista Francesco Costa, attraverso delle «chiacchiere da bar» (come le chiama lui), commenta l’attualità e la politica.

Sembra assurdo, vero? Sono passati solo tre anni eppure il mondo sembra essere cambiato. O, almeno, sembra essere cambiato il ruolo dei podcast nel mondo, e in Italia… Pensate che intanto, nel 2018, è nata la nostra piattaforma Gli Ascoltabili, legata a Cast Edutainment, e che questa è stabilmente diventata una della più note e seguite piattaforme di produzione podcast originali.

Il boom del podcasting in Italia prima e dopo il Covid-19 tra Spotify, Apple e Amazon

Cosa è successo intanto? Certamente c’è stata una pandemia da Covid-19 che ci ha costretti tutti a casa e che ha portato a una vertiginosa crescita degli ascoltatori di podcast (in Italia, il 30% nei primi quattro mesi del 2020), oltre che a un sostanziale aumento dell’offerta in tale formato. Ma non solo. Amazon nel maggio 2016 decide di lanciare anche in Italia Audible, azienda di produzione audiolibri che nel 2008 era già stata rilevata dal crescente colosso dell’e-commerce. All’epoca, la piattaforma offriva quasi esclusivamente audiolibri, affiancando la già nota offerta di ebook Kindle per cui Amazon era nota. Col tempo, però, cominciano a prendere sempre più piede e ad avere più successo proprio i podcast, in particolare quelli di fiction e di storie narrate come se fossero fiction. Uno dei prodotti più noti e apprezzati che la piattaforma propone è la nostra serie dedicata ad Agatha Christie.

Cominciano, inoltre, ad avere un successo sorprendente anche i podcast di divulgazione culturale. Ne segnaliamo due, in particolare. Quelli che hanno come speaker narratore Alessandro Barbero, le cui conferenze, trasformate in podcast, avevano già cominciato a spopolare su Spotify e Apple Podcast, e che Audible ha sapientemente ingaggiato per realizzare podcast di divulgazione molto efficaci. Poi quelli di Alberto Angela, del quale non si limita a realizzare gli audiolibri dei suoi successi editoriali, ma lo ingaggia per realizzare, con la sua voce, dei podcast a tema culturale.

E giornalismo, nuovi media, editoria, radio?

Insomma – lo si può vedere – il mondo editoriale italiano, come sempre più spesso accade, arriva in ritardo anche all’appuntamento con i podcast. Persino la radio, con cui il podcasting dovrebbe forse avere una certa affinità, sembra venirne travolta. Pensate al podcast La zanzara. Nato dalla nota trasmissione di Giuseppe Cruciani e David Parenzo, questo programma radio oggi è, appunto, più noto come podcast che come trasmissione. In ogni caso si tratta sempre di quello che si diceva prima: non un podcast appositamente pensato, ma una replica on demand del programma. Tuttavia – va segnalato –, alcune radio sono riuscite a utilizzare tale formato in maniera sapiente per allargare sempre più il loro pubblico di riferimento. Radio 3 ha persino (ri)proposto vecchie letture e vecchi radiodrammi degli anni ’50, ’60, ’70 come contenuti di fiction podcast da ascoltare quando si vuole.

Per concludere, la rivoluzione audio che il Guardian annunciava nel 2004, in Italia sta scoppiando ora, probabilmente grazie anche all’azione catalizzatrice del Covid e all’ormai radicale diffusione delle piattaforme streaming, oltre che alla nascita di aziende, come Cast Edutainment che produce Gli Ascoltabili, le quali hanno deciso di investire nel podcasting come elemento di edutainment e di corporate communication. L’editoria tradizionale, il giornalismo, la televisione e la radio si stanno, invece, accodando al fenomeno cercando di ritagliarsi una loro parte che però sembra avere sempre meno peso.