Calls di Apple TV+: la serie tv in cui comanda l’audio

La rivoluzione di Calls: un po’ serie tv, un po’ podcast

Nel marzo 2021, una nuova serie tv è approdata su Apple TV+, la piattaforma per lo streaming video di Apple: si tratta di Calls. Rispetto ad altri titoli del marchio, è passata un po’ in sordina, forse proprio per il formato inusuale. Eppure, si tratta di una serie tv di altissima qualità, oltre che di grande interesse per lo sviluppo dei contenuti audiovisivi.

Perché mai parlare di una serie tv su Gli Ascoltabili? A essere precisi, Calls è una sorta di via di mezzo tra un podcast e una serie tv. O almeno questo è il modo più semplice e veloce per inquadrarla. 

La serie si compone di nove episodi da circa un quarto d’ora l’uno, in apparenza slegati tra loro. Ogni episodio consiste in una o più telefonate, di cui si sente solamente l’audio. Ciò che compare a video non sono scene live action, ma i nomi degli interlocutori, i testi dei dialoghi e una grafica in stile “futuristico” che interagisce con il parlato simulando radiofrequenze e non solo. 

Noiosa? Tutt’altro: grazie alla qualità di scrittura, Calls tiene incollati allo schermo. 

La particolarità di questa serie è che, sebbene sia pensata per un supporto video, affida all’audio le redini della narrazione. Per una volta, quindi, il video si sviluppa in funzione dell’audio, e non viceversa. Ciò però non significa che la serie possa essere seguita anche solo ascoltando (come un podcast). La parte visiva in Calls è importantissima, studiata nella sua essenzialità per aumentare l’impatto emotivo. Le grafiche animate di volta in volta rappresentano onde sonore, linee telefoniche che si incrociano, ma anche sospiri, esitazioni, distanze (fisiche o psicologiche) tra i personaggi. È interessante anzi notare come il ruolo dell’immagine muti leggermente da un episodio all’altro.

Nel complesso, viene reso efficacemente il tema della comunicazione oltre il tempo e lo spazio, che fa da fil rouge tra le puntate.

Spazio al sonoro, ovvero spazio all’immaginazione. All’insegna dell’horror

Calls di Apple TV+ prende spunto dall’omonima serie francese scritta da Timothée Hochet e prodotta da Canal+. La versione americana, ampiamente rivista sia sul piano visivo che uditivo, è adattata e diretta da Fede Álvarez

Intervistato sulla nascita di questa serie tv mystery/horror, il regista uruguaiano ha affermato che ha subito accolto favorevolmente la proposta di Apple, perché non capita spesso a Hollywood di poter lavorare su qualcosa di totalmente nuovo.

Ben noto agli amanti del cinema horror (suoi il remake di La Casa e Man in the Dark), Álvarez attinge alle basi del genere a lui familiare per sfruttare tutto il potere evocativo del sonoro e associarlo a un trattamento visivo perturbante. La sfida principale – dice – è stata tradurre in questo particolare linguaggio grafico gli espedienti comunicativi utilizzati abitualmente con film e serie live-action. In più, il regista si è trovato a fare “un passo indietro” rispetto al solito, per fare spazio alla capacità immaginativa degli spettatori.

Un buon equilibrio tra audio e video nel supportare la narrazione è forse il principale punto di forza della serie. Come diceva Ennio Morricone: “Il cinema – la tv in questo caso – è un’arte che coinvolge udito e vista e che solo nella loro democratica parità di fruizione può vedere esaltati i suoi significati”.

Anche il cast di voci conta nomi celebri: Aubrey Plaza, Rosario Dawson, Aaron Taylor-Johnson, Pedro Pascal, Nick Jonas, Mark Duplass, Jennifer Tilly e molti altri.

Il cast vocale completo è stato annunciato soltanto con l’uscita della serie. La registrazione dei dialoghi si è svolta nel 2020, durante la pandemia di COVID-19: all’ascolto non si direbbe, ma gli attori hanno registrato i dialoghi separatamente, ognuno a casa propria a causa del lockdown. A quanto pare, la distanza reale li ha aiutati a entrare nella parte. Ha inoltre favorito un metodo di lavoro dinamico e focalizzato esclusivamente sugli elementi base della produzione: la storia e i suoi interpreti.

Calls, una riflessione su relazioni e comunicazione

Tra le serie tv del 2021, Calls è sicuramente un gioiellino da non perdere. Non solo per chi divora storie del piccolo schermo, ma anche per chi ama i podcast di qualità (o anche i vecchi serial radiofonici): d’altronde, chi meglio di un appassionato di emozioni “in cuffia” può apprezzare un prodotto del genere? Ovvero una serie che può ispirare modalità alternative di trattamento audio/video, e far riflettere sulle possibilità offerte dal mezzo sonoro.

Lo stesso tema della comunicazione, come si diceva, è al centro del concept di Calls. Come spesso accade nel genere horror contemporaneo, infatti, l’elemento paranormale (di cui non riveliamo nulla) è soltanto un mezzo per parlare di un’umanissima quotidianità.

Tra grida, interferenze, silenzi, versi inquietanti, le telefonate raccontano di relazioni guastate o falsate da una lontananza che è emotiva più che geografica. Pezzi di vita tenuti insieme da un sottilissimo filo, quello del telefono, su cui corrono dialoghi colmi di non detto. È qui che emerge il potere della voce, capace di comunicare molto anche senza parlare o senza dire ciò che vorrebbe davvero, solo con un cambio di tono, un gemito, o una risata. Si nota quindi anche l’importanza di attori professionisti per veicolare una buona storia. 

Non sappiamo se e quanto si parlerà di Calls nei prossimi anni, né se è prevista una stagione 2.

In atteso di scoprirlo, ci perdonerete se ci siamo concessi per una volta di parlare di video su Gli Ascoltabili: qualunque contenuto è di nostro interesse, se è di ispirazione per immaginare nuove frontiere dell’intrattenimento! 

Tutti i podcast de Gli Ascoltabili sono disponibili qui


Su Netflix, Apple e il mondo podcast

Netflix punta – anche – sui podcast: si testa la modalità “solo audio”

Alla presentazione dei Golden Globes 2020, Ricky Gervais presentava, ad uno ad uno, i celeberrimi attori presenti, in una delle sue performance più memorabili. Tra una battuta assolutamente scorretta e l’altra, Gervais diceva, testualmente: 

«No one cares about movies anymore. No one goes to cinema, no one really watches network TV. Everyone is watching Netflix. This show should just be me coming out, going, “Well done Netflix. You win everything. Good night.”» (trad: A nessuno importa più dei film. Nessuno va al cinema, nessuno guarda davvero la TV generalista. Tutti guardano Netflix. In questo show dovrei esserci solo io che esco e dico “Ben fatto, Netflix. Vinci tutto tu. Buona notte”)

E si trattava di tempi non sospetti, prima ancora dei vari lockdown per la pandemia che, neanche a dirlo, hanno contribuito all’aumento delle iscrizioni alla piattaforma.

Netflix ha sbancato in ogni ambito, ha una quotazione in borsa da capogiro, con un fatturato che supera i venti miliardi di dollari, e contenuti originali di grande successo (si pensi a serie come La regina degli scacchi, o film come L’incredibile storia dell’isola delle rose)… e non finisce qui. 

Sì, perché pare che il colosso californiano si stia aprendo sempre più anche al mondo dei podcast

Negli ultimi tempi, infatti, dalla app della piattaforma è possibile impostare la fruizione dei contenuti nella sola modalità audio. Basta cliccare sul tasto “Video Off” in cima al player, oppure abilitare la modalità “Audio Only” dalle impostazioni generali. 

Si tratta per il momento di un semplice aggiornamento lato server (disponibile solo per Android), ma può essere visto come una sperimentazione ispirata dal crescente interesse verso i contenuti audio, come podcast e audiolibri.

Un’ulteriore prova, insomma, del fatto che la produzione di podcast di qualità è un trend che non passa inosservato!

I podcast originali di Netflix

La modalità solo audio di Netflix consente di seguire le serie o i film preferiti risparmiando dati, batteria e concentrandosi sul potere della voce o del suono. In effetti, alcuni contenuti in particolare (come gli show di stand-up comedy) possono anche essere seguiti senza immagini, ma si potrebbe obiettare che la fruizione audio di contenuti pensati per il video sarà sempre una fruizione “parziale”.

Vale comunque come “prova generale” da parte di Netflix prima di scegliere se approdare verso la produzione di podcast vera e propria.

In realtà, però, il Re Mida dello streaming di podcast già ne produce, anche se non se ne parla molto. Al momento esistono quasi solo per il mercato statunitense, ma sono in costante crescita (22 mentre scriviamo questo articolo): riguardano tutti le produzioni a marchio Netflix, o la vita in azienda. Quest’ultimo caso ad esempio è quello di We Are Netflix, con il Senior Software Engineer Lyle Troxell che intervista altri dipendenti sul loro lavoro e i valori dell’azienda.

Altri come The Call Sheet, Watching With o Behind the Scenes, sono invece conversazioni con celebrità o persone della produzione, sui dietro le quinte dei vari show.

Interessante il titolo You can’t make this up, dove l’autrice e conduttrice di genere crime Rebecca Lavoie esplora le storie vere che si trovano dietro i più amati contenuti thriller e gialli del marchio.

O Because I watched: racconti di persone reali da tutto il mondo, su come alcune serie o film (rigorosamente Netflix) hanno cambiato la loro vita.

In tutti i casi si tratta naturalmente di branded podcast, curati dalla divisione marketing per attirare o tener vivo l’interesse del pubblico verso i contenuti della piattaforma. Difatti, con il branded podcast un’azienda può creare un legame di fiducia con il suo utente medio, raccontando storie che comunichino i valori su cui l’azienda stessa si fonda (e in cui l’utente può riconoscersi). A proposito, conoscete i branded podcast realizzati da Gli Ascoltabili?

Apple pronta a lanciare la “Netflix dei podcast”?

Se davvero Netflix stesse pensando di ampliare il suo dominio anche verso il meraviglioso mondo dei podcast, forse dovrebbe guardarsi le spalle. 

Secondo le ultime indiscrezioni dei media americani, sembra infatti che Apple stia pensando di lanciare un nuovo servizio di abbonamento a pagamento per ascoltare podcast

Pare che il brand della mela stia incontrando società di produzione del settore per valutare il “grande salto”, ma al momento non c’è nulla di concreto. Come Netflix, probabilmente sta tastando il terreno per verificare che quello dei contenuti audio sia effettivamente un trend da cavalcare con prospettive a lungo termine. 

D’altronde, già nel 2019 Apple meditava di comprare serie podcast originali per averne l’esclusiva, e a fine 2020 ha partecipato alla corsa per l’acquisizione della nota compagnia di podcast indipendenti Wondery (poi andata ad Amazon).

Anche nel caso di Apple, comunque, esistono già dei podcast originali. Attualmente, il brand realizza per lo più podcast di natura “corporate”, che mirano a diffondere news aziendali: si tratta dei titoli Apple Keynote, Apple Quarterly Earnings Calls (sugli andamenti trimestrali) e Events at the Apple Store

Unica eccezione – per il momento – è costituita dal talk lanciato a giugno 2020 The Zane Lowe Interview Series: in ogni episodio del podcast, il dj di Apple Music Zane Lowe coinvolge un musicista/cantante famoso in una conversazione intima sulla sua vita e le sue canzoni. Tra gli artisti intervistati, figurano celebrità come Miley Cyrus, Eminem, Paul McCartney, Mariah Carey e i Foo Fighters.

Che dopo il lancio di Apple TV+, Apple stia pensando a una sorta di “Apple Podcasts+”? Per il momento, l’esperienza di The Zane Lowe Interview Series è ancora un caso isolato. Come si dice, chi vivrà vedrà!

Intanto, noi continuiamo a goderci l’ascolto dei migliori podcast italiani su tutte le principali piattaforme di streaming audio: naturalmente, sempre con un “orecchio di riguardo” per i mitici podcast de Gli Ascoltabili! Da Demoni Urbani a Sostenibilità for Beginners, da Folco Files a Delitti&Roversi, da La mia storia a Gli adolescenti si fanno male… dal 2018, Gli Ascoltabili produce podcast gratuiti per tutti i gusti e le occasioni. Li conoscete tutti?


I video podcast: un paradosso o una realtà?

Cosa sono i videopodcast?

Che gli ascoltatori abituali di podcast siano in costante aumento, non solo negli USA ma anche in Europa e in Italia, ce lo dimostrano molti dati. Proprio nell’epoca in cui si pensava che il video avrebbe trionfato, i fruitori di contenuti puramente audio crescono costantemente. Perché, allora, soprattutto negli Stati Uniti, diversi tra i più popolari podcast vengono pubblicati su YouTube corredati da contenuti video? Non solo: sulle piattaforme podcast – Apple, in particolare – i videopodcast si fanno più numerosi: CNN 10, per esempio, che, quotidianamente, riassume in dieci minuti le notizie più importanti del giorno; oppure il seguitissimo TED, che non si limita, come si potrebbe credere, a trasformare in podcast le sue già note conferenze, ma crea dei contenuti nuovi appositamente concepiti. Resta YouTube, però, il luogo in cui questo formato si trova in abbondanza. Perché? Qual è, allora, la differenza tra un podcast e un comunissimo video in streaming?

I videopodcast, quel qualcosa in più.

Andiamo con ordine. Un video podcast, come si può intuire, non fa altro che aggiungere, all’elemento audio, l’elemento video. Provate a guardare, per esempio, il nostro @Home – Tecniche di sopravvivenza, il video podcast nato per superare bene la quarantena. L’elemento video, si diceva, può essere di vario tipo e diversa complessità: semplici immagini o filmati di accompagnamento, motion graphics, oppure – come più spesso accade – i volti di chi parla, anche ripresi in studio di registrazione e variamente montati. Già, i volti; tra poco torneremo sull’importanza di questo elemento. Intanto, come si può aver intuito, in un video podcast resta comunque l’audio l’elemento più importante. Per quanto la complessità video possa variare, alla fine un video podcast può essere anche solamente ascoltabile (esatto: come i nostri podcast). Il contrario, invece, non è possibile.

YouTube. Ovvero Dove ti ascolto i podcast

Sia come sia, si pensi che, secondo un studio di Futuri Media/University of Florida citato da The Verge, YouTube è attualmente il podcast player dominante sul mercato: il 43% degli ascoltatori di podcast mensili afferma di aver utilizzato, nell’ultimo anno, la nota piattaforma video per ascoltare podcast; più di Apple (34%) e Spotify (23%). Certo, si potrebbe obiettare, i contenuti su YouTube possono anche essere formati, di fatto, di solo audio (qualche foto e due scritte in sovrimpressione non fanno un video podcast). Tuttavia, se si fa una ricerca, si può empiricamente notare come i podcast di maggior rilievo abbiano in genere un vero elemento video. In alcuni casi, addirittura, podcast di successo già esistenti hanno deciso di offrire, tramite YouTube, i loro programmi in un nuovo formato video podcast, differenziando i contenuti per spingere gli ascoltatori che vogliono approfondire l’ascolto verso il tradizionale formato. Come ad esempio hanno fatto Joe Rogan con il suo  Joe Rogan Experience e H3.

Il podcast H3, in particolare, utilizza uno dei take più popolari nel formato “YouTube podcast”. Vi sono, infatti, tre canali: H3H3 Productions (6 milioni di iscritti), H3 Podcast (2 milioni) e H3 Podcast Highlights (1,3 milioni). Il canale principale viene utilizzato per commenti più lunghi, le collaborazioni speciali e gli sketch comici. Gli ultimi due, invece, sono dedicati esclusivamente al podcast. Il principale canale Podcast H3 ha oltre 208 milioni di visualizzazioni totali, ma il canale secondario dedicato alle clip di ogni episodio ne ha oltre 388 milioni. La creazione di un canale separato per le clip consente ai podcaster di sfruttare l’algoritmo di raccomandazione di YouTube, che mostra i contenuti su argomenti specifici a cui uno spettatore è già interessato.

Perché un videopodcast?

Ora resta la domanda principale: perché? Inutile girarci intorno: YouTube dà accesso a una platea di due miliardi di utenti registrati (sì, avete letto bene). Spotify ha “solo” 230 milioni di utenti mensili. Inoltre, grazie alla funzione che genera in automatico i sottotitoli, la piattaforma può far arrivare il proprio contenuto in tutto il mondo. Insomma, non c’è storia. Ma YouTube è pensata per il video, non per il podcast. E sono pensate per il video anche tutte le funzioni di marketing e monetizzazione che la stessa piattaforma offre. Si interfaccia bene, poi, con i social network; anche questi pensati per il video più che per i podcast. Se è vero, infatti, che sui social è possibile condividere anche delle clip audio, è altrettanto vero che le clip video sono di maggiore e più immediata presa sugli utenti, grazie soprattutto alle modalità di anteprima, fruizione e condivisione che gli stessi social offrono.

Scienza e podcast

Approfondiamo un altro aspetto. Poco sopra abbiamo fornito un dato curioso: in genere, nei video podcast, l’elemento video è formato dai volti degli speaker o degli ospiti. In più – si diceva –, il video si può anche ignorare e mantenere la fruizione classica di solo audio senza perdere fondamentali elementi di significato o narrazione. Perché, allora, investire tempo e denaro per creare contenuti video? Qui la risposta ci viene dalle scienze cognitive. «Because half of the human brain is devoted directly or indirectly to vision». Queste le parole del professor Mriganka Sur del MIT’s Department of Brain and Cognitive Sciences. Noi esseri umani siamo tendenzialmente animali “visuali”. Recuperiamo più facilmente informazioni tramite le immagini, apprendiamo più facilmente, ricordiamo meglio. Insomma, un podcast corredato di volti riesce ad arrivare a un pubblico più ampio e a risultare più memorabile, e genera maggiore desiderio di serialità e ripetizione. Molto più di quanto possa fare il solo audio. Una caratteristica sorprendente della memoria umana, infatti, è che le immagini sono ricordate meglio delle parole. I test di riconoscimento evidenziano come le persone riescano a ricordare più di due mila immagini con almeno il 90% di accuratezza, per un periodo di diversi giorni, anche con tempi di presentazione molto brevi durante l’apprendimento. Questa eccellente memoria per le immagini supera la nostra capacità di ricordare le parole. Il motivo potrebbe risiedere nel fatto che le immagini vengano associate automaticamente e con più facilità ad altre conoscenze sul mondo. Il che si traduce in una codifica più elaborata di quanto si verifichi con le parole.

Guardiamoci in faccia su… youtube!

Ma non solo: la nostra attenzione è particolarmente sensibile ai volti, alla loro ricerca e indagine, alla loro memorizzazione. Tale attitudine diventa più importante man mano che si invecchia, a causa della ricchezza di informazioni che si possono ottenere dai volti. Secondo alcuni psicologi, le caratteristiche facciali ci forniscono addirittura più dati della stessa lingua parlata. Noi umani siamo “progettati” per far gravitare la nostra attenzione sui volti di altri umani. Usiamo le espressioni facciali di altre persone per sviluppare il contesto emotivo. La tua battuta è stata una freddura? I tuoi manicaretti hanno deliziato o no gli ospiti? Devi osservare i volti delle persone per scoprirlo. Gli umani hanno circuiti neurali specifici dedicati al riconoscimento facciale. Vivono nel lobo temporale mediale e si scatenano ogni volta che vediamo una faccia. Questi circuiti fanno sì che un volto balzi subito in primo piano nella nostra attenzione, anche quando è in competizione con altri stimoli. Quindi il nostro cervello reagisce in modo diverso ai volti. Dà a questi la priorità rispetto ad altri stimoli visivi. 

E poi? E poi niente

Il video, insomma, offre al pubblico un motivo in più per scegliere un podcast anziché seguire il flusso di altri stimoli a cui sono quotidianamente soggetti. Un podcast video propone un diverso tipo di attrattiva che l’audio da solo non può offrire.

A questo punto, però, è bene tirare le fila. Abbiamo visto come, di fatto, in un video podcast l’elemento video – almeno per il momento – non va a intaccare l’elemento audio. I podcast restano quello che sono: degli ascoltabili. Il video, tuttavia, permette di arrivare a platee molto più ampie, di utilizzare più facilmente gli algoritmi di promozione e diffusione dei social, di rendere più memorabili i propri contenuti. Insomma, non ci troviamo di fronte a una rivoluzione. I creatori di podcast sanno che YouTube è uno strumento prezioso per lo sviluppo e la crescita di podcast, ma YouTube non ha innescato alcun cambiamento nei prodotti che possa arrivare a trasformarli. Piuttosto, la crescita comune che stanno avendo i podcast  di qualità deriva dalle iniziative dei loro autori e dalla qualità dei loro contenuti; oltre che dall’intuizione di come utilizzare YouTube a loro vantaggio.