Facebook si apre al mondo dei podcast – ed era ora!

Assidui lettori de Gli Ascoltabili d’Italia, di tutto il mondo e dell’universo intero, unitevi, vorremmo fare un annuncio. Lo abbiamo già più volte ribadito, nel corso del tempo – o meglio, dei nostri articoli, come ad esempio questo, questo o questo – ma è il caso di ribadirlo. In tempi non sospetti ci abbiamo visto lunghissimo con la scommessa dei podcast, ma un sacco di bella gente ci ha seguito a ruota, investendo come se non ci fosse un domani nella produzione di podcast di qualità, podcast originali, podcast bellissimi, in Italia e all’estero. I nostri sono pure gratuiti, tiè.

Oprah, Harry e Meghan, Bruce Springsteen e Obama, Spotify (a proposito, lo sai che Demoni Urbani ora è in esclusiva su Spotify? no? Sappilo), Amazon, Netflix, Apple… insomma, alla nutrita lista di amanti dei podcast, si aggiunge anche il solo, unico, incommensurabile Mark. Mark Zuckerberg.

Il fondatore di Facebook, il quinto uomo più ricco del mondo, ha appena annunciato di puntare sull’audio per rivoluzionare il social network più famoso del mondo. Scopriamone i dettagli. 

Facebook e la rivoluzione audio: i dettagli

La pandemia che stiamo vivendo ha posto tutta una serie di cambi di paradigma relativi al nostro modo di intendere la comunicazione e i mezzi con cui attuarla. Stare a casa, il coprifuoco, l’impossibilità di uscire dalla propria regione o dal proprio comune hanno inciso fortemente nelle scelte di tutti i giorni, anche dal punto di vista comunicativo: se è vero che gli ottimisti vedono opportunità in ogni pericolo, Zuckerberg si può definire il re degli ottimisti. E ha cavalcato l’onda.

A metà del 2020, mentre il mondo si affacciava all’epidemia da SARS-CoV-2 e moltissime persone vivevano in lockdown, Facebook ha creato le Rooms, ovvero delle stanze virtuali nelle quali gruppi di amici, parenti e familiari potevano incontrarsi e fare videochiamate in compagnia. L’innovazione, rispetto allo standard di Facebook, è che nelle stanze ci si poteva accedere anche senza essere iscritti al social: era sufficiente per il moderatore della videochiamata girare un link di accesso alle persone desiderate. 

In questi giorni, Zuckerberg ha annunciato il lancio di una vasta gamma di prodotti audio, che andranno ad affiancare testi, foto e video, arricchendo ancor più le sue piattaforme.

Gli strumenti pensati in questa ottica sono, per il momento, tre: stanze audio, soundbites e podcast.

Stanze audio, per cominciare

Le stanze audio non sono altro che le stanze Messenger private dell’opzione video: in questo modo, chiunque potrà accedere alle stanze, indipendentemente dal fatto di avere i capelli puliti, per intenderci. Battute vere a parte, le stanze audio permettono una maggiore inclusività, sono comode e funzioneranno esattamente come le stanze classiche: il moderatore potrà scegliere un argomento di cui parlare, aggiungere gli amici al gruppo, passare il link a chiunque voglia aggiungersi e iniziare la conversazione.

Lo sappiamo, leggi sempre i nostri articoli, perciò di sicuro a questo punto avrai pensato: ma questo è ciò che fa Clubhouse! Bravo! Meriti una stellina per essere al passo con i nostri articoli – per tutti gli altri ecco il link in cui parliamo abbondantemente di Clubhouse. In effetti, il collegamento all’app protagonista della rivoluzione ascoltabile alla quale vi abbiamo già abituati e alla quale la nostra piattaforma di podcast sta dando un notevole contributo, è abbastanza evidente: uso della voce, contenuti effimeri, attenzione alla privacy. Non temete, però, Clubhouse e le Facebook Rooms non sono la stessa cosa: alle Facebook Rooms puoi entrare senza l’obbligo dell’invito. 

Soundbites e podcast

Il secondo strumento, anche se probabilmente sarà il primo ad arrivare sul mercato, dovrebbe essere Soundbites: sarà la versione audio di Reels, lo strumento che consente di scambiare brevi video e messaggi vocali.

Avevamo già visto qualche settimana fa Twitter inserire all’interno del suo feed la possibilità di inviare messaggi vocali, che restano però fissi, esattamente come i post classici, a meno che l’utente non decida di eliminarli: insomma, Clubhouse è stato ampiamente copiato – e come biasimare tutti? Quando un format funziona, funziona – Lo sappiamo bene, noi, che vantiamo di numerosi tentativi di imitazione

Last, but not least, signore e signori, i podcast. Mark, vecchia volpe, finalmente, diciamo noi! Quanto ci voleva per capire che i podcast sono lo strumento ideale per comunicare contenuti efficaci e bellissimi? E non dire che non te l’avevamo detto.

Facebook e la rivoluzione dell’audio: come andrà a finire?

Ancora non c’è niente di certo, se non il fatto che, come riportato su Il corriere della sera, “Zuckerberg, parlando dei nuovi strumenti audio del suo gruppo, ha detto che l’intenzione è quella di guardare all’utente più come creatore (di contenuti che possono anche produrre un reddito) che come consumatore. La società, del resto, ha già introdotto piattaforme come Start che dovrebbero aiutare i creatori a monetizzare il valore del loro lavoro”.

Quante cose possono succedere! Non sappiamo se il futuro ci riserva una collaborazione – o una contrapposizione – tra Facebook e Clubhouse, né quanto, come e quando Mark proporrà his own podcasts, ma e noi amanti dei podcast, noi che le storie le concepiamo prima con le proprie orecchie, poi con gli altri sensi, non vediamo l’ora di saperne di più.

Intanto, mentre aspettiamo notizie certe, spingiamo un po’ i nostri podcast super divertenti e bellissimi, come Hardcorviale e Il podcast del disagio, ma anche quelli interessanti e bellissimi, come Tutte le famiglie felici e La mia storia, o ancora quelli zeppi di suspense e bellissimi, come Folco Files e Demoni Urbani.

Qualsiasi sia la vostra serie preferita, noi de Gli Ascoltabili siamo qui a farvi compagnia, nell’attesa che Mark Zuckerberg proponga dei podcast straordinari con i quali allietare i nostri momenti liberi, sempre, ovunque.

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ClubHouse ovvero della rivoluzione ascoltabile

Un social network su Marte

Quando, a gennaio scorso, ClubHouse ha raggiunto il picco della popolarità grazie a un intervento di Elon Musk nella stanza Good time, Paul Davison e Rohan Seth, i fondatori del social network, hanno spiegato che il loro «scopo era costruire un’esperienza social che venisse percepita come più umana, dove invece di postare ci si riunisce con altre persone per parlare». Creare, dunque, un luogo virtuale dove «quando chiudi la app ti senti meglio di quando l’hai aperta, perché ti ha permesso di approfondire un’amicizia, incontrare persone nuove e imparare qualcosa».

Privacy e qualità dei contenuti. Sì, parliamo ancora di social

ClubHouse è senz’altro il social di cui si parla di più al momento. Sarà merito di Elon Musk, sarà per il suo elitismo (si accede solo invito), sarà perché si usa solo la voce: non è facile dirlo. Possiamo dire, tuttavia, che il fenomeno è certamente legato alla rivoluzione ascoltabile di cui abbiamo già trattato e alla quale la nostra piattaforma di podcast sta dando un notevole contributo, almeno in Italia. In ogni caso, il social è nato a marzo 2020 e da gennaio scorso è disponibile anche nel nostro Paese. Sta suscitando più di qualche speranza sul futuro dei social network, come per esempio quella di un cambio di passo in materia di privacy e qualità dei contenuti. Altre piazze digitali, come Instagram, Twitter e, soprattutto, Facebook sono ormai diventati luoghi da hate speech e fake news sempre più occupati dai boomer, nel senso deleterio e stereotipato del termine.

ClubHouse come funziona

Ma come funziona ClubHouse? Il principio è molto semplice: invece di scrivere o postare immagini, si parla. Ma come?! – direte voi – si parla? Come se non ci fossero già troppe parole in giro? No, un attimo. Le cose sono un po’ più articolate. Cominciamo col dire che – a differenza di Facebook, ma in un modo per alcuni aspetti vicino a quello di Twitter – ClubHouse è pensato per conversare di qualsiasi argomento non solo con chi si conosce, ma con chiunque, o anche solo per ascoltare altri che parlano di qualcosa. Però non si tratta di parlare o ascoltare a caso. Ci sono delle stanze, o dei club, e degli appuntamenti precisi. Ogni conversazione è gestita da dei moderatori (scelti da chi organizza). Vi sono poi degli speaker incaricati di parlare, coordinati dai moderatori. Se qualcun altro, tra il pubblico dei ascoltatori, vuole intervenire, deve alzare la mano e ottenere il permesso. Insomma, parlare sì, ma in maniera ordinata. Un po’ come si farebbe in un webinar, ma senza la rigidità di questo e in maniera molto più dinamica e semplice. Per molti aspetti somiglia a una radio, e diversi “conduttori” usano le stanze un po’ come fossero dei programmi radio. Ma si tratterebbe, in ogni caso, di “trasmissioni interattive” realizzate usando solo il proprio iPhone o iPad. E citiamo solo i due prodotti a marchio Apple non a caso: al momento, infatti, si può accedere a ClubHouse solo tramite iOS 13 o successivi. Anche se presto, secondo quanto annunciato, dovrebbe essere disponibile per i dispositivi Android.

Specchio servo delle mie brame, chi ha la voce più bella del reame?

Come scrive Il Post, ClubHouse funziona un po’ come i vecchi forum, ma è come se fossero orali invece che scritti. «Potrebbe assomigliare a Telegram – continua –, se Telegram fosse fatto di soli messaggi vocali, con la differenza che in ClubHouse non c’è nulla di registrato: si parla live, chiedendo di intervenire con una simbolica alzata di mano. Al posto dei “canali” di Telegram, però, i gruppi sono chiamati “stanze”».

Un’attenta selezione

Ma dicevamo anche che è non è un social per tutti, almeno per adesso. Oltre al – momentaneo – monopolio Apple, ad oggi è possibile accedere solo su invito. Appena si arriva sull’app, a ogni utente vengono affidati due inviti. Poi, col passare del tempo (e dell’attività), gli inviti aumentano. Insomma, la community di ClubHouse cresce lentamente e a farla crescere sono principalmente gli utenti attivi, a cui vengono riservati, sempre col passare del tempo e dell’attività, altri vantaggi.

Da una prima ricognizione, almeno nell’area in lingua italiana, possiamo notare come i temi prevalenti affrontati sul social riguardino il giornalismo, la politica, il business e la psicologia (sempre però legata alla “mentalità vincente”). Probabilmente perché, fin da subito, a usare ClubHouse sono stati soprattutto giornalisti, politici e imprenditori. Piano piano, tuttavia, sembrano fare capolino molti altri temi: dalla narrativa alla musica classica, dalla comicità all’entertainment. Le stanze con più partecipanti sembrano essere quelle in cui organizzatori o speaker sono personaggi popolari o riconosciuti come esperti. Ed è probabilmente per questo che, almeno al momento, la qualità dei contenuti sembra accettabile e in alcuni casi persino alta. Inoltre, come si accennava, il ruolo della moderazione è molto importante.

Al di là dell’odio e del falso

La questione dei contenuti di odio o delle notizie false resta, tuttavia, ancora calda. Perché, nonostante l’importanza data al ruolo dei moderatori, è successo in più occasioni che circolassero hate speech e fake news. Al momento non è chiaro se i fondatori della piattaforma abbiano un piano per moderare maggiormente le conversazioni. L’edizione americana di Vanity Fair, a dicembre, ha dedicato una lunga riflessione all’argomento. A scatenarla un episodio increscioso: in una stanza in cui si parlava di attentati terroristici a Parigi un utente aveva fatto affermazioni poco fondate o discutibili sulle persone di religione musulmana.

Un futuro più educato

Nonostante tutto, però, la diffusione di ClubHouse sembra intrecciare, in qualche modo, una serie di tendenze chiare nei social network e – in generale – nel mondo della comunicazione digitale: uso della voce, contenuti effimeri, attenzione alla privacy. E sembra, inoltre, rispondere a delle esigenze ormai ampiamente sentite e legate in particolare alla qualità dei contenuti a cui si è costantemente esposti. ClubHouse, come suggerisce il nome stesso, permette di selezionare i membri della propria cerchia, scegliere i temi intorno ai quali aggregarsi, non essere morbosamente attaccati al numero di like e di follower. Gli utenti accedono all’app e si trovano solo i contenuti di loro interesse (anche se possono esplorare tutto ciò che vogliono), entrano nelle stanze di loro piacimento, ascoltano ma senza sentire voci che si accavallano o urla continue. Insomma, è un po’ come ascoltare dei podcast talk in diretta ma con la possibilità di intervenire, fare domande o, addirittura, condizionare il corso della discussione. Probabilmente non sarà una rivoluzione nel mondo del social networking, ma certamente sembra riportare un po’ più di attenzione sulla qualità e sull’educazione.