Potere al sonoro: il fenomeno dei vocaloid

Vocaloid: che cosa sono (o meglio, sono stati)

In un passato recente, per una nicchia di appassionati, grazie ai vocaloid le tecnologie audio hanno preso il sopravvento, dimostrando di poter dominare il mercato musicale anche facendo a meno del corpo umano. Un fenomeno che oggi forse è giunto al tramonto, perché dunque parlarne nel 2021? Perché fa riflettere sulla possibile evoluzione dei mezzi di fruizione audio, compresi i podcast.

Cantanti “robot”, concerti tenuti da ologrammi… fantascienza? No, è il magico mondo dei vocaloid. Che cosa sono? Per essere precisi, sarebbe più corretto chiedersi che cos’è: vocaloid è un sintetizzatore software che nasce nei primi 2000, con lo scopo di sintetizzare la voce umana semplicemente immettendo il testo e la melodia di una canzone. 

Creato per l’appunto come programma per l’audio, presto Vocaloid è diventato molto di più: si è deciso di immettere nella sua banca dati una serie di voci diverse associate ad altrettanti personaggi di fantasia, presentati in forma animata. Quel che è successo è che i cantanti inventati sono diventati delle vere e proprie star in Giappone (e non solo): è così che quelle che dovevano essere semplici mascotte si sono trasformate nel vero prodotto! 

Oggi con il termine vocaloid si identificano proprio questi personaggi, che – dice qualcuno – potrebbero aver ispirato fortemente il panorama audio. Per non parlare del panorama degli eventi, attualmente messo in discussione come mai prima, a causa della pandemia di Covid-19. Proprio come cantanti in carne ed ossa, infatti, i vocaloid si esibiscono talvolta anche in concerti, sotto forma di ologrammi che si muovono sul palco. 

Chiunque acquisti il software può realizzare brani con il vocaloid che preferisce, ciò significa che nessuno ha l’esclusiva sull’utilizzo di queste voci sintetizzate. A chi si chiedesse cos’è un vocaloid si potrebbe dunque rispondere che è una via di mezzo tra uno strumento e un cantante virtuale.

Breve storia ed evoluzione dei vocaloid

L’elaborazione del segnale usato dal software Vocaloid è stata fatta per la prima volta da Kenmochi Hideki alla Pompeu Fabra University di Barcellona. In seguito, a partire dal 2004, la Yamaha Corporation ha sviluppato e commercializzato il software.

La tecnologia si serve di voci registrate di cantanti o attori, che possono anche essere modificate con effetti come il vibrato o il pitch shift. 

In base agli aggiornamenti del software coi rispettivi personaggi lanciati di volta in volta, si usa suddividere i vocaloid in diverse “generazioni”. Oggi siamo giunti alla quinta generazione.

I primissimi vocaloid sono stati nel 2004 Leon e Lola, rispettivamente una voce maschile e una femminile, che cantano solo in inglese. È però con la seconda generazione, risalente al 2007, che il fenomeno vocaloid è esploso davvero. Quell’anno è nata Hatsune Miku, ad oggi forse il personaggio più popolare, sviluppato da Crypton Future Media. Il suo nome è formato da ideogrammi giapponesi corrispondenti alle parole “primo” (初, hatsu), “suono” (音, ne), e “futuro” (ミク, miku), e vuole significare dunque “la prima voce del futuro”. La sua voce è stata ottenuta campionando quella della doppiatrice giapponese Saki Fujita.

Hatsune Miku è il primo vocaloid che si è davvero espanso oltre il software, generando merchandising di vario tipo: action figures, un manga, due videogiochi, abbigliamento e altro.

Altri vocaloid famosi sono Kagamine Rin/Len, Megurine Luka, GUMI e IA, ma i personaggi sono davvero moltissimi e c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Col passare degli anni, il software vocaloid ha perso il forte legame che aveva coi suoi personaggi, perdendo popolarità. Al momento non è chiaro se ci sia un futuro per i vocaloid. Inizialmente però, personaggi come Hatsune Miku sono stati un’ottima ancora di salvezza per aspiranti cantanti e soprattutto produttori discografici in cerca di occasioni. 

Di vocaloid, musica live e podcast

Nel 2020, Hatsune Miku doveva partecipare a uno dei festival più importanti del mondo: il Coachella. Poi annullato per ovvi motivi. Chissà se un’opportunità del genere si ripresenterà e, nel caso, come sarà accolta dal pubblico. Di certo, non sarebbe la prima volta nella storia che una folla di persone si riunisce per applaudire un ologramma. Oltre ai già citati concerti dei vocaloid, ricordiamo diverse “band virtuali”: già negli anni Sessanta Alvin and the Chipmunks, poi Jem and the Holograms, i Gorillaz, e altri meno famosi. 

Negli ultimi anni poi si è assistito a fenomeni analoghi che fanno pensare a un vero e proprio trend in corso: l’esibizione di un ologramma di 2pac al Coachella 2012, un intero concerto nominato “The Bizarre World of Frank Zappa” del 2019 dove il rocker (morto nel 1993) era una figura virtuale sul palco… e ancora, un intero tour per l’ologramma di Roy Orbison, cantante morto nel 1988.

Tralasciando le considerazioni estetiche (ed etiche) che pongono, è evidente che questi eventi suggeriscono la possibilità di rinnovare il concetto di evento e anche di cantante. 

Cos’hanno di specifico i vocaloid rispetto a questi fenomeni? Il vocaloid, come dicevamo, alla fin fine è potenzialmente “di tutti”. Uno dei primi motivi per cui l’esperimento ha avuto successo era proprio la possibilità di essere cantante dal proprio divano di casa, di rubare una voce professionale e farne ciò che si voleva anche solo per la durata di una canzone. Una bella messa in discussione del rapporto tra pubblico e vip. Non solo il vocaloid è una celebrità da ammirare, ma è anche uno stimolo alla creatività.

Nell’ultimo anno, in modo diverso, abbiamo assistito a un fenomeno simile per quanto riguarda la produzione di podcast: grazie a un mezzo d’espressione cui è relativamente facile accedere, molte “persone comuni” si sono reinventate produttori di contenuti, speaker, conduttori… senza bisogno di muoversi da casa. Da qui, l’esplosione in Italia del fenomeno podcast, con la nascita di numerosissimi nuovi show. Ovviamente, un conto è fare podcast, un altro è fare podcast di qualità, un lavoro che richiede l’impegno sinergico di professionalità ben precise. Oggi, però, il fenomeno dei podcast ci comunica anche e soprattutto questo: l’idea di un entertainment aperto a tutti, dove la linea di separazione tra produttore e fruitore è molto meno netta che altrove.

Ovviamente il settore ancora molto giovane, soprattutto in Italia. Ma in futuro, c’è forse da aspettarsi un’evoluzione simile a quella del mercato musicale, con ologrammi e voci sintetizzate a sostituire le persone “reali”? Nasceranno podcast presentati da personaggi analoghi ai vocaloid? Staremo a vedere. Per il momento, godiamoci i podcast italiani “tradizionali”… con un occhio di riguardo per quelli de Gli Ascoltabili!


Le figure del podcast: l’autore

Scrivere podcast non è come scrivere un racconto… è meglio 😉

Come scrivere un podcast? Nelle scorse settimane abbiamo parlato del profilo dello speaker, la voce e spesso il volto che accompagna l’ascolto dei vostri podcast preferiti. Ci abbiamo dedicato un intero articolo, che non potete assolutamente perdervi, e che trovate qui

Se associate il lavoro dell’autore al ricordo ottocentesco dello scrittore chiuso nel suo stanzino polveroso, tra scaffali di libri e fogli sparsi dappertutto, ci avete preso solo sulla parte della polvere. Un po’ giornalista, un po’ sceneggiatore, un po’ molto narratore, la figura dell’autore è essenziale nella produzione dei podcast, e, come vedremo tra poco, scrive molto più di quello che possiate pensare.

La scrittura di podcast è diversa dalla scrittura di un articolo, di uno spot pubblicitario, di un racconto o di un romanzo. In un certo senso, però, è l’unione di tutte queste cose – se non di più. 

Storie, trame, intrecci: il pane quotidiano di un autore di podcast

Ogni mattina un autore si sveglia e sa che dovrà raccontare una storia

Che si tratti di una serie narrativa, di un talk, di un’intervista o ancora di un’inchiesta, ogni podcast nasce dal desiderio di coinvolgere il proprio pubblico utilizzando la sacra arte del racconto. 

Tutti i podcast de Gli Ascoltabili nascono sempre dalla stesura di un copione.

La sceneggiatura di un podcast, come è facile immaginare, è differente da quella di un film, o di uno spettacolo teatrale. Chi ha un po’ di dimestichezza con l’argomento, avrà presente di cosa parliamo: se il copione di un prodotto audiovisivo può avere al suo interno, oltre ai dialoghi, s’intende, delle indicazioni sommarie sulla gestualità degli attori e note relative all’ambiente in cui la scena si sta svolgendo – nel caso del cinema: interno/esterno, giorno/notte, eccetera –, un copione per un podcast narrativo prevede maggiori indicazioni che andranno ad arricchire il dialogo tra le tracce audio. Qualche esempio?

L’autore di un podcast narrativo dovrà scrivere il testo che lo speaker leggerà, dargli le indicazioni di senso e di intenzione, suggerire a chi di dovere i passaggi musicali e gli effetti sonori, confrontandosi con il sound designer e successivamente con i grafici per creare un prodotto completo, su tutti i fronti.

Immaginiamo uno dei nostri podcast preferiti, come ad esempio Demoni Urbani. Il nostro Francesco Migliaccio sta raccontando la storia di un dato massacro, e descrive il momento del delitto nei minimi dettagli. L’assassino è dietro alla porta, silenzioso… e a un certo punto.. ZAC! Prende la mannaia e fa a pezzi la sua vittima.

L’autore avrà scritto non solo le parole di Migliaccio, ma avrà dato indicazioni sul mood sonoro della scena, sul volume, sul punto preciso in cui inserire un brano o un effetto. Tutte indicazioni che il sound designer raccoglierà e interpreterà secondo la sua sensibilità ed esperienza.

Podcast talk, podcast narrativi, podcast divulgativi… a ogni format il suo autore

Va da sé che come per qualsiasi altro prodotto audiovisivo, ogni tipologia di podcast segue delle regole precise.

Abbiamo visto in breve che un podcast narrativo si fonda sulla stesura e lettura di un copione. In questo senso, è la tipologia di podcast che maggiormente si avvicina all’audiolibro (con le dovute differenze di cui abbiamo parlato qui e qui).

Un podcast narrativo dal copione avrà bisogno di un quantitativo più ampio di indicazioni, che riguardano, appunto, il parlato, l’intenzione, il ritmo, l’andamento della puntata. 

Un podcast talk, invece, data la sua natura che riprende il format dell’intervista, avrà una sorta di copione-canovaccio che detti il tempo all’host e agli speaker presenti. Ma per forza di cose, si affiderà anche all’improvvisazione.  Si tratta questa della forma di podcast probabilmente più “pura” e diffusa, quella che più ci riconduce al mondo radiofonico da cui questo medium nasce. Pensiamo anche solo ad alcuni tra i podcast più popolari del momento (o di sempre): titoli come The Joe Rogan Experience, TED Talks Daily, The Michelle Obama podcast… o in Italia, La Zanzara e Muschio Selvaggio, solo per citarne due. 

In questo tipo di podcast molto spesso autore e host coincidono: per farla breve, insomma, il podcast È l’autore. La buona riuscita di questo tipo di podcast dipende molto dal carisma dell’host/autore: non è detto che un bravo autore sia anche un bravo host, ma molto spesso la passione compensa la tecnica. 

Un podcast divulgativo, infine, richiederà un lavoro particolarmente ampio in una prima fase, quella della raccolta dati, confrontando gli argomenti che si andranno a trattare, evitando di incappare in fake news. Un esempio su tutti gli esempi? I podcast – bellissimi – di Alessandro Barbero, of course.

Scrivere per gli occhi non è come scrivere per la voce

Torniamo al podcast narrativo fondato su un copione. Una caratteristica fondamentale del mestiere di scrivere podcast riguarda la natura del prodotto. Stiamo parlando di un testo che andrà letto ad alta voce, e senza un supporto visivo: è un concetto che un autore deve tenere bene in mente, durante la scrittura.

Può sembrare banale, e forse scontato, ma provate a leggere ad alta voce, che so, una pagina del vostro libro preferito, oppure l’etichetta del detersivo per la lavastoviglie: un autore ha scritto entrambi i testi, eppure con intenti completamente diversi. 

Un autore di podcast deve evitare l’utilizzo di parole e locuzioni cacofoniche, le allitterazioni. L’ipotassi è quasi bandita, così come l’utilizzo di frasi troppo contorte, di cui non si coglie facilmente il soggetto.

Molto importante inoltre, specie se il podcast è particolarmente lungo, ricordarsi che l’ascoltatore non ha il copione sotto mano: ripetere i concetti fondamentali, a differenza di altri testi, non solo non fa male ma è di grande aiuto.

Mai come in questo caso, comunque, un copione impreciso si sente

Il confronto con altre figure è più importante di quanto non si pensi

I podcast si costruiscono in team: scrivere un podcast è un’attività meno solitaria di quello che si creda. 

A livello puramente strutturale, la scrittura di podcast è solitamente preceduta, come molte altre forme di scrittura, da un’ampia fase di documentazione, di cernita delle informazioni, di controllo e fact-checking: a prescindere dal format, la qualità del prodotto parte sempre dalla sua coerenza interna.

Dopo aver raccolto gli argomenti, è il momento di ordinarli, magari usando una scaletta, per avere in mente a grandi linee il discorso che si vorrà intraprendere. Solo successivamente, se è previsto un copione, inizia la scrittura vera e propria.


Le figure del podcast: lo speaker

C’era una volta… lo speaker

Al tempo di TikTok e YouTube, del lavoro da casa e dell’arte di reinventarsi, sembrerebbe che chiunque possa fare un podcast. E per certi versi forse è così. La verità però è che ci sono alcune figure specifiche dietro la realizzazione di un podcast di qualità: nelle prossime settimane ve ne racconteremo alcune.

Iniziamo oggi con la figura dello speaker. Diverso dal conduttore (di cui parleremo in un altro articolo), lo speaker nel podcast entra in gioco in sostanza quando è prevista una narrazione

Si tratta di una figura che naturalmente non nasce in questo ambito, ma ha invece una storia lunga, che pone le sue radici nel mondo dei programmi radiofonici o della pubblicità radio-televisiva. Ciò significa che uno speaker tendenzialmente nasce come dj o doppiatore. Ovunque sia protagonista un microfono.

Non esiste comunque un percorso preciso e lineare per diventare speaker e tutt’ora difficilmente è ritenuta una professione a sé stante. Se si volesse trovare una definizione univoca di questo ruolo, basterebbe dire che lo speaker è un “professionista della voce”. Un animale da studio di registrazione, un atleta del microfono, un maestro delle corde vocali.

Lo speaker è una persona che ha studiato a fondo la propria voce, che sa decostruirla e reimpostarla per arrivare a sfruttarne al massimo tutte le potenzialità. 

È necessario un attento lavoro di conoscenza di sé e di ascolto della richiesta, per far incontrare le proprie capacità con la sensibilità del committente/pubblico. Dopodiché la performance ideale sarà data da un equilibrio di estetica, ritmo e personalizzazione. 

Ovvero: ok la bella voce, ma bisogna anche saperla usare.

Lo speaker oggi: quali prospettive

Intendiamoci, non è necessario avere uno speaker professionista per fare un podcast di successo. Molto spesso, anzi, è proprio il contrario: i produttori ricorrono a voci “inesperte” perché già conosciute dal pubblico in altri ambiti, o perché spigliate di natura e quindi percepite come autentiche. Soprattutto, come si diceva, non c’è l’ombra di speaker nei podcast non narrativi. Prendiamo ad esempio due nomi-simbolo del podcasting in Italia: Pablo Trincia, giornalista e Alessandro Barbero, professore. Certamente non nascono speaker, eppure non hanno problemi a totalizzare fiumi di download.

Qui a Gli Ascoltabili privilegiamo il podcast narrativo, e abbiamo da sempre un rapporto stretto col mondo dello speakeraggio/doppiaggio. Come non ci stanchiamo mai di sottolineare, l’efficacia di nostri podcast come La mia storia, Scaffali Roversi, Scemi da un matrimonio,Lady Killer e altri dipende anche dal contributo di interpreti professionisti.

Oggi il panorama dei mestieri della voce non è più quello di trent’anni fa, quando tra cinema e televisione le opportunità di lavoro per speaker e doppiatori erano certamente più numerose, varie e di maggiore qualità. Il mondo dei social e le piattaforme streaming spingono sempre più verso una fruizione di contenuti in lingua originale ed è questa la modalità cui è abituato e che ricerca il nuovo pubblico dominante, fatto di millennial e zoomer. 

Qual è quindi il nuovo “habitat” ideale del professionista della voce? Principalmente il mondo dei videogiochi, che rappresenta il più grosso mercato dell’entertainment. Qui ingenti investimenti sono destinati a localizzazione e doppiaggio, in particolare da parte delle più grosse case videoludiche che realizzano giochi di tipologia AAA quali Assassin’s Creed, World of Warcraft, Call of Duty… eccetera. Tuttavia, c’è anche da segnalare che una significativa fetta di mercato è oggi rappresentata da titoli mobile, che invece quasi mai sono tradotti e/o doppiati.

Approdare al podcast: dallo speakeraggio pubblicitario…

E il mondo podcast? Probabilmente è ancora presto per valutare quali prospettive riserva questo ambito per gli speaker, ma il settore – che rappresenta ancora una nicchia – ci offre già interessanti spunti di riflessione.

Recitare davanti a un microfono non è un gioco da ragazzi. Non lo è in generale, e non lo è a maggior ragione per un medium come il podcast che – specialmente in Italia – è ancora tutto da scoprire.

Fermo restando che ogni professionista è a sé e ha il proprio stile, a seconda del settore di provenienza – speakeraggio, recitazione, doppiaggio – sono riscontrabili alcuni punti comuni negli approcci degli interpreti.

Uno speaker pubblicitario è allenato a leggere un copione, magari anche fornitogli all’ultimo minuto. In quanto a estetica e gestione dei tempi, sarà imbattibile. Recitare in un podcast però richiede (anche) altro: una capacità di empatia con il testo, di ricerca della verità interpretativa che ha più a che vedere con il ruolo di attore che non con quello di speaker tradizionale. Chi è abituato a trailer, promo e claim pubblicitari dovrà dunque mettere in conto di spogliarsi degli orpelli propri del mestiere, e “mostrare il fianco” per rendere il contenuto più vicino alla realtà.

…dal doppiaggio…

Un discorso simile vale per i doppiatori.

“Diceva sempre che doppiare gli piaceva, perché ogni giorno potevi diventare qualcun altro: oggi sei Cary Grant, domani Robert De Niro, un giorno sei Al Pacino, quello dopo Tom Cruise! Quel giorno Giacomo era Mr. Quaggott.”

Per fortuna, non tutti gli incarichi di doppiaggio sono come quello di Giacomo Poretti in Chiedimi se sono felice, relegato a “interpretare” i colpi di tosse di una comparsa. Ma è vero che il ruolo di doppiatore (di contenuti audiovisivi) contiene già in sé una sorta di compromesso: devi interpretare il personaggio, ma allo stesso tempo anche l’attore che lo incarna nella versione originale. Il tutto trovando una modalità adeguata al contesto linguistico e culturale del tuo pubblico, che sarà certamente diverso da quello di provenienza. Questa ricerca al cinema e in televisione porta a una recitazione che se risulta vincente nei film e nelle serie tv, non lo è altrettanto nei podcast.

Provate a chiudere gli occhi mentre ascoltate la scena di un film doppiato: noterete che il modo in cui si esprimono i personaggi non rispecchia la realtà di tutti i giorni. Come spettatori ci siamo abituati e anzi, probabilmente rigetteremmo un’interpretazione diversa.

Tuttavia questa modalità riprodotta in un podcast può risultare troppo artificiosa e portare il pubblico a non “credere” a ciò che sta ascoltando. In questo caso, dunque, al doppiatore sarà richiesto un ulteriore “compromesso”: la ricerca di una maggiore autenticità, senza timore di accogliere incertezze e “sporcature”. 

…e dal palcoscenico teatrale

E per quanto riguarda chi proviene dal teatro? Dicevamo più sopra che l’attore ha dalla sua il fatto di essere già abituato a calarsi in una parte, nel senso di studiare la psicologia di un personaggio e trarre dalla propria esperienza personale gli elementi utili a esprimerla in modo credibile (ci perdonerete per la semplificazione della ricerca attoriale, che ovviamente è molto più complessa di così). 

A questo si aggiunge un fenomeno recente, quello che ha visto molti attori e doppiatori conosciuti al grande pubblico cimentarsi nella lettura di audiolibri, soprattutto i grandi classici: pensiamo a nomi come Francesco Pannofino, Fabrizio Gifuni, Paola Cortellesi, Claudio Bisio, Alba Rohrwacher. Un fenomeno alimentato anche dal programma radiofonico Ad alta voce di Rai Radio 3.

L’audiolibro però è un contenuto ancora diverso dal podcast, ha una durata più dilatata, e si presume venga ascoltato “a puntate”. E nell’audiolibro l’attore si sostituisce  di fatto alla voce narrante, andando poi a interpretare – nel caso di un romanzo – ove necessario le esclamazioni dei personaggi protagonisti.

Un podcast richiede all’attore di effettuare quella ricerca interpretative cui è abituato, senza però avere a disposizione i tempi, i confronti e le prove del teatro. Senza contare che nel podcast l’attore deve fare i conti con un “filtro” che si pone tra lui e il personaggio, tra lui e il pubblico: il famigerato microfono, che modifica e amplifica la voce e la mette al centro della scena. Un oggetto così piccolo e banale, che tuttavia a un primo impatto può spaventare anche l’interprete più navigato. 

Accade dunque che nel formato podcast lo speaker pubblicitario e il doppiatore possono imparare qualcosa dall’attore, e viceversa. Alla ricerca di una figura “mitologica” che è ancora da perfezionare e scoprire: lo speaker di podcast.