La storia – non tanto antica – dei podcast

I podcast sono i nostri strumenti di acquisizione di contenuti preferiti. Li ascoltiamo in ogni occasione, in ogni luogo, su ogni piattaforma. Eppure, ci facciamo accompagnare dall’ascolto di podcast da, decisamente, poco tempo.

All’inizio del nuovo millennio, il termine podcasting non esisteva nemmeno. Ma con l’arrivo di varie tecnologie, come l’accessibilità economica ad apparecchiature e software per la registrazione domestica, l’accesso a Internet più rapido e un aumento delle comunità di nicchia che desiderano contenuti on-demand specializzati, ecco che i podcast hanno raggiunto milioni di ascoltatori. Ma cosa facevamo prima di ascoltare i podcast?

Il mondo dei podcast

La storia dei podcast è strettamente correlata alla nascita dell’iPod di Apple. Il primo iPod, lo ricordiamo, è uscito nel 2001. Pochi anni dopo, nel 2004, l’ex VJ di MTV Adam Curry e lo sviluppatore di software Dave Winer hanno ideato un piano che avrebbe consentito loro di scaricare trasmissioni radio online da Internet direttamente sull’iPod.

Winer aveva creato un software aggregatore RSS (Really Simple Syndication) e Curry aveva codificato un programma intitolato iPodder, che poteva estrarre file audio da un feed RSS in modo che potessero essere trasferiti su un iPod. Per la prima volta, i file delle trasmissioni radiofoniche potevano essere archiviati su un lettore portatile e ascoltati, quindi, in movimento.

Così nasce il podcasting: letteralmente, l’unione tra la parola (I)Pod – intesa come “baccello”, “capsula” dallo strumento che raccoglieva i file – e Broadcasting, ovvero “trasmissione”.

Da lì, il podcasting ha iniziato – lentamente ma inesorabilmente – a prendere piede. 

Nell’ottobre 2004 nasce il primo fornitore di servizi di podcast, Libsyn.com (Liberated Syndication); nel 2005 il New Oxford American Dictionary ha indicato la parola “podcastcome parola dell’anno

Dal 2006 al 2013: nuovi temi per il mondo dei podcast

Dal 2006 i podcast si staccano dall’egemonia Apple per diffondersi anche in altri canali: a gennaio, infatti,  Steve Jobs spiegato al suo pubblico come creare il proprio podcast utilizzando il software GarageBand gratuito di Apple.

Un mese dopo, Lance Anderson è diventato il primo podcaster a portare il suo spettacolo in tournée con un tour di podcast dal vivo, The Lance Anderson Podcast Experiment

Quel Natale, il primo podcast in assoluto è partito nientemeno che da Buckingham Palace, quando il discorso del giorno di Natale della Regina Elisabetta fu reso disponibile per il download come podcast.

Nel 2007 i podcast hanno iniziato a guadagnare riconoscimenti per l’enorme pubblico che stavano accumulando. Ricky Gervais ha stabilito il Guinness World Record per il podcast più scaricato, con oltre 250.000 download per episodio.

Nel 2009 i podcast hanno raggiunto un altro traguardo: Edison Research ha riferito che il 43% degli americani aveva sentito parlare di podcasting almeno una volta nella vita; negli anni successivi, ecco che i podcast si ritagliano un posto importante nella coscienza pubblica, diventando il medium su cui puntare per la veicolazione di contenuti.

Un momento di svolta nella storia dei podcast: prima e dopo il 2014

Nel 2014 This American Life ha pubblicato Serial, un podcast di giornalismo investigativo, nel quale la conduttrice Sarah Koenig riapriva un caso di un omicidio del 1999 e, attraverso una serie di conversazioni telefoniche, costruiva un legame con l’ipotetico assassino, del quale non v’era certezza avesse commesso il crimine.

Per il suo uso innovativo del podcast e per l’accattivante dinamica sviluppata tra Koenig e i soggetti delle sue interviste, Serial ha conquistato la nazione come nessun podcast era (ancora) stato capace di fare. Per fare un esempio, Serial è stato il primo podcast ad essere parodiato su Saturday Night Live ed è diventato il primo podcast a vincere un Peabody Award.

Sempre nel 2014, poi, avvengono altre due episodi destinati a fare la storia del podcast. In primo luogo, allo show reso podcast di Marc Maron WTF partecipa nientemeno che Barack Obama; e il New York Times debutta con un podcast homemade, The Daily. 

Podcasting ai giorni nostri

Agli albori del 2015 era stato riferito che, entro il 2019, 165 milioni di persone avrebbero ascoltato podcast e 90 milioni di americani avrebbero ascoltato podcast almeno una volta al mese. L’era del podcasting era ormai prossima all’avvento. 

Per anni, Spotify si è conteso testa a testa il primato con Apple Music per la condivisione audio. Dopo essersi evoluto in una piattaforma dominante per la musica, Spotify ha iniziato a compiere una serie di mosse strategiche nel tentativo di consolidarsi anche come piattaforma principale per i podcast.

Nel 2019, Spotify ha acquisito il principale studio di podcast Gimlet Media, responsabile di programmi popolari come StartUp, Reply All e Crimetown. Ci abbiamo scritto un bel pezzone a riguardo, lo trovate qui

Non solo: negli ultimi mesi Spotify ha anche acquistato la piattaforma per la creazione di podcast Anchor e la società di produzione di podcast Parcast.

Nel luglio 2020, la società di radio satellitare SiriusXM ha rivelato la sua determinazione ad espandere i suoi orizzonti in tema podcast acquisendo l’app di podcast Stitcher come parte di un accordo da 325 milioni di dollari.

Mentre il podcasting era inizialmente celebrato come un mezzo democratico in cui i creatori indipendenti potevano trovare la loro voce, un segmento predominante del settore sta ora seguendo le orme di altri media mainstream e viene scelto per accordi esclusivi con varie reti, costruendo verso un sistema che potrebbe presto rispecchiare l’offerta/scontro dei principali canali di streaming.

Il futuro del podcasting

Si può già parlare del futuro del podcasting? Forse qualcosa si può dire. Probabilmente ci troveremo davanti a una rapida accelerazione della podcast-mania, con investimenti cospicui di tempo, risorse e denaro da parte non solo dei piccoli e grandi produttori di contenuti streaming, ma anche delle diverse aziende.

Entro la fine del 2021, si prevede che le entrate pubblicitarie dei podcast supereranno il miliardo di dollari. 

E anche se può sembrare che il podcasting si stia evolvendo troppo velocemente, è bene ricordare che è un mezzo ancora molto giovane. E, come tutti i giovani, è imprevedibile, e noi saremo come sempre in prima linea per carpirne tutte le sue nuove e vecchie peculiarità. 


Le radio libere degli anni 70 e i podcast: la libertà e la creatività ritornano, sempre

Radio libere e podcast, due mondi diversi? Forse no. La radio libera sconvolge i 70’s...

Fino a 50 anni fa pubblicare contenuti audio non era “roba da tutti”.

Innanzitutto, perché era molto diversa la fruizione, non esistevano i devices mobili su cui oggi ascoltiamo i contenuti che ci accompagnano quotidianamente, podcast, musica o webradio. Al di là di questo, è bene ricordare come non esistessero nemmeno le radio private, ma soltanto un’unica radio statale.

I privati non avevano né facoltà né tantomeno il permesso di trasmettere il proprio palinsesto, tanto che la legge stessa riservava solo allo Stato l’esercizio di radiodiffusione circolare.

Anche in Italia, in altre parole, gli unici canali consentiti, ad eccezione di poche esperienze locali, erano la radio pubblica Radio Rai, e la televisione pubblica, Rai TV.

Gli anni ‘70 sono stati forieri di novità in molteplici aspetti della società, smantellando convenzioni e abbattendo luoghi comuni. Come ogni status quo assopito che si rispetti, anche il mondo della radio, negli anni ’70, viene attraversato da una febbrile fame di novità. Nell’aria ancora carica dello spirito della contestazione giovanile, si avverte la voglia di staccarsi da “mamma Radio Rai”, che dettava regole, modalità, stile e contenuti in tutta Italia, con il suo approccio granitico e didascalico, per cercare qualcosa di diverso, per “creare” qualcosa di diverso.

La legge e il desiderio

Si sa, la storia insegna che laddove c’è abbondanza – se non eccesso – di regole, dettami, leggi che limitano la libertà d’espressione, cresce il desiderio. In questo caso, il desiderio di libertà porta a una vera rivoluzione. Le persone, lo vediamo anche ora con i podcast, hanno voglia di dire la loro, hanno voglia di storie da ascoltare, di dare informazioni, di parlare, di sentire voci diverse.

Il 1974 è l’anno di svolta: la Corte Costituzionale concede ai privati la facoltà di trasmettere, anche se solo via cavo, programmi in ambito locale, la prima storica sentenza contro il monopolio statale. Sdoganata la libertà d’espressione anche in ambito locale, ecco che l’ultima vittoria da ottenere è la trasmissione via etere. 


Altro aspetto che trova conferma sui libri di storia è che, per ottenere un diritto, nella maggior parte dei casi, occorre muoversi dal basso: proprio sull’onda di questa spinta rivoluzionaria, a metà degli anni ‘70 alcuni pionieri pensano bene di forzare la mano e di aprire radio private via etere, senza aspettare un pronunciamento dello Stato, nella speranza di ottenerne ben presto piena legittimazione.

Nascono così le radio libere, che vanno a riempire l’FM, la modulazione di frequenza, che fino a quel momento gli italiani praticamente non ascoltavano, focalizzati sull’AM (modulazione di ampiezza). Le radio libere vanno a occupare le frequenze FM superiori ai 100 MHz: la prima a iniziare le trasmissioni è Radio Parma, che inizia nel Dicembre 1974 sulla frequenza 102 MHz. 

L’FM ha il problema del range geografico: non c’è emittente in grado di coprire un’intera provincia. La radio diventa così locale, si rivolge a un pubblico di zona, apre all’interazione con il pubblico, ma trasforma i problemi in opportunità: ad esempio, dato il target ristretto, autori e speaker immaginano programmi disegnati su un pubblico specifico. Insomma, un laboratorio creativo straordinario, in qualche misura paragonabile a ciٍ che sta accadendo oggi con il podcasting. Non tutti, infatti, sappiamo ancora cos’è un podcast ma molti di noi sanno quanto in crescita sia il portato di questo fenomeno. 

Dalla radio libera al podcast

Le radio libere hanno vita breve, scoraggiate dai mille cavilli tecnici e burocratici inseriti dalle regolamentazioni successive al ‘74, ma instillano nella coscienza collettiva la necessità di ricercare uno spazio di espressione totalmente aperto, che non escluda voce alcuna, nessun linguaggio e nessun punto di vista. Dal 1976, le regole permettono la fioritura di queste realtà.

E oggi? Il significato del podcast, di cui tanto si parla, puٍò apparire come una diavoleria del 21esimo secolo, ma in realtà è profondamente imparentato con quell’epoca.


Facciamo un po’ di etimologia del termine, tanto per capire quando nasce: “podcast” vede la luce con la diffusione dei feed RSS, popolare per lo scambio di registrazioni audio su dispositivi elettronici. Compare per la prima volta nell’articolo Audible Revolution, pubblicato sul The Guardian e firmato da Ben Hammersley, e viene usata per definire il nuovo fenomeno di diffusione (cast) di file audio in formato MP3 disponibili su supporti portatili (pod) per la creazione di palinsesti digitali, per cui non era necessario passare dall’etere. Pensando alle radio libere, non vi viene un senso di deja-vu?


Con queste parole: “Come chiamarlo? Audioblogging? Podcasting? GuerillaMedia?” Hammersley definì per la prima volta, una rivoluzione nuova, dal sapore antico. Un nuovo modo di sfruttare le vie del non-etere, un nuovo approccio ai contenuti audio che assolve alla stessa necessità di base degli anni ’70: libertà di contenuti, varietà di scelta e estrema facilità di produzione.

Perché il podcast, oggi? L’era del self-entertainment

Capire come fare podcast è semplice e ve l’abbiamo già raccontato in altri articoli: basta una connessione Internet, un client e tanta voglia di raccontare. Si possono usare piattaforme gratuite di registrazione, editing, e pubblicazione e i contenuti prodotti possono essere online in pochissimo tempo e raggiungere chiunque. 

Con queste “radio libere 2.0” tutti possono essere podcasters e partecipare a questa nuova, grande rivoluzione dell’audio.

A quanto pare, la libertà che caratterizza il fenomeno del podcasting, simile a quella contagiosa carica rivoluzionaria degli anni ‘70, sta raggiungendo anche i millennials. Quei ragazzi che spesso tacciamo di essere totalmente refrattari all’informazione, forse sono solo alla ricerca di un medium con cui si possano sentire a proprio agio. Se fosse il podcast, flessibile, poco invasivo, che non occupa spazio sui devices ed è segnato da una mobilità radicale, a rinsaldare il legame tra le giovani generazioni e l’infotainment?

Approfondiremo il tema in un prossimo articolo.