Il 50% degli italiani ha rinunciato alla ricerca dell’amore: perché trovare l’anima gemella è sempre più difficile.
Decenni fa il gioco era semplice. Giovani fanciulle attendevano di essere scelte da uomini alla ricerca di una compagna di vita. La donna stava a casa a badare alle faccende domestiche e ai figli, mentre il marito si dedicava al lavoro e alla soddisfazione professionale. Una dinamica che si traduceva in un automatismo profondamente penalizzante per il genere femminile.

Ora tutto è cambiato. Per fortuna. Anche alla donna è concesso di sognare. Tuttavia, all’emancipazione femminile si è affiancata una forma di precarietà sempre più invasiva. E dunque, in questa frenetica ricerca di stabilità, il 50% degli italiani ha deciso – in parte scientemente, in parte per costrizione – di rinunciare all’amore.
Nella frenetica ricerca della stabilità, gli italiani hanno rinunciato all’amore
Il 50% degli italiani è single, o almeno vive da solo. Sono dati registrati nel 2024. Una tendenza che tiene conto di diversi fattori, primo fra tutti il mutamento della percezione del matrimonio. Mentre decenni fa era considerato una tappa inevitabile, quasi dovuta, oggi rappresenta solo una delle tante opzioni esistenziali. Un tempo era facile costruire un nucleo famigliare: la donna faceva la mamma e l’uomo portava il pane a casa. La parità di genere ha invece livellato i ruoli, rendendoli potenzialmente interscambiabili.

Cosa ha comportato questo? Il genere femminile ha iniziato legittimamente a dedicarsi alla propria crescita personale, alla costruzione di una carriera stabile e al raggiungimento dell’indipendenza economica dalle figure genitoriali. Dunque i tempi entro i quali la donna è disposta a fermarsi e mettere su famiglia si sono inevitabilmente allungati. Per intenderci: negli anni 50 un ragazzo di 30 anni trovava disponibilità in una giovane donna di 20-25 anni. Attualmente, a quell’età, le ragazze sono ancora impegnate nella costruzione del loro futuro.
A ostacolare il “sentimento” ci si è messa anche la precarietà. I giovani faticano a trovare un’occupazione stabile e in media raggiungono l’indipendenza economica all’età di 35 anni. I contratti a tempo determinato e i salari bassi impediscono loro di aprire un mutuo, andare via di casa relativamente giovani e dunque creare il nucleo famigliare del quale la società ha bisogno per andare avanti. Sostanzialmente, la precarietà impedisce alle nuove generazioni di concentrarsi su altri temi che non siano legati alla ricerca del lavoro.
È come se i cittadini under 40, soffocati dalle difficoltà e travolti dal senso di frustrazione dilagante, avessero indossato dei paraocchi e avessero deciso di concentrarsi solo su sé stessi. Dopotutto, in una società dove gli stipendi per i novellini non raggiungono neppure 800 euro e un contratto indeterminato arriva – forse – dopo anni di collaborazione, è davvero funzionale concedere spazio all’amore? A quanto pare, il 50% degli italiani ha tirato i remi in barca, in una lotta per la sopravvivenza che non lascia spazio al sentimento e all’emotività condivisa.