Più soldi subito in busta paga, zero tasse su quell’importo e la promessa di un guadagno facile. Ma c’è un conto, e arriva quando smetti di lavorare.
Sono mesi che si parla del Bonus Maroni, quell’incentivo che – a prima vista – sembra un affare. In pratica, è una formula riservata a chi nel 2025 potrebbe andare in pensione anticipata ma sceglie di rinunciarci, presentando domanda per restare al lavoro. In cambio, per tre anni (fino al raggiungimento della pensione di vecchiaia) si riceve l’intera quota dei contributi previdenziali direttamente in busta paga, netti e senza tassazione.

Fin qui tutto chiaro, o quasi. Prima di entusiasmarsi, bisogna capire se davvero si hanno i requisiti per l’anticipo e, subito dopo, prendere carta e penna per fare due conti seri.
Perché se è vero che questa opzione garantisce un incremento immediato dello stipendio, è altrettanto vero che quei contributi non versati oggi significano un assegno più leggero domani. Ed è qui che il dibattito si accende: c’è chi lo considera un’opportunità da non lasciarsi scappare e chi lo vede come un boomerang pronto a colpire al momento del pensionamento. Quindi, cosa conviene davvero? Restare al lavoro e incassare il bonus, o rinunciarvi per proteggere la pensione futura? Solo i numeri possono dirlo.
Il caso di Barbara: 750€ in più oggi o una pensione più alta domani?
Per capire meglio la questione prendiamo un caso comune. Barbara ha 62 anni, uno stipendio netto di circa 1.700€ al mese e potrebbe già andare in pensione anticipata con un assegno di circa 1.230€ netti. Se scegliesse il Bonus Maroni, però, la sua busta paga cambierebbe parecchio.

Con il bonus, infatti, i contributi previdenziali – sia la parte a suo carico che quella del datore di lavoro – non finirebbero più all’INPS, ma direttamente nelle sue tasche, esentasse. Tradotto in cifre, il netto mensile passerebbe da 1.700 a circa 2.450€. Significa 750€ in più rispetto allo stipendio attuale e oltre 1.200€ in più rispetto alla pensione anticipata.
Il rovescio della medaglia? Quei tre anni senza versamenti contributivi non spariscono nel nulla: si tradurranno, al momento della pensione di vecchiaia, in un assegno più basso di circa 73€ netti al mese per sempre. Una cifra che, a prima vista, può sembrare modesta, ma che nel lungo periodo potrebbe pesare. Senza contare gli adeguamenti e le rivalutazioni che, su un importo più basso, finiscono per essere proporzionalmente inferiori.
Ecco perché la scelta non è così scontata: da un lato c’è la possibilità di incassare cifre importanti subito, di respirare un po’ di più sul bilancio familiare o di mettere da parte un gruzzolo; dall’altro, c’è la sicurezza di un assegno leggermente più alto per tutto il resto della vita. A noi la sentenza.