Abbandono del tetto coniugale: chiarito quando si possono chiedere i soldi e quando no

Una sentenza del Tribunale chiarisce meglio cosa succede in caso di abbandono coniugale, una violazione dei doveri matrimoniali.

L’abbandono del tetto coniugale è una delle più gravi violazioni dei doveri previsti dal matrimonio e costituisce un elemento probante e solido per la richiesta di addebito della separazione.

marito e moglie discutono seduti su divano lei si copre con cuscino
Abbandono del tetto coniugale: chiarito quando si possono chiedere i soldi e quando no – gliascoltabili.it

Tutto nasce da una vicenda che vede protagonista un uomo che aveva chiesto l’addebito della separazione in quanto la moglie aveva abbandonato la casa familiare, all’improvviso. Alla base della decisione c’era una crisi matrimoniale evidentemente impossibile da sanare. Il problema è che l’uomo ha fatto domanda di addebito contro la moglie, dopo 5 anni dall’abbandono della stessa. E questo ha fatto la differenza nella sentenza del Tribunale.

Il volontario allontanamento dalla casa familiare è per la legge una violazione diretta del dovere di convivenza, sancito dall’articolo 143 del Codice Civile, e basta per giustificare una pronuncia di addebito ai sensi dell’articolo 151. Ma c’è un’importante eccezione. L’addebito può essere escluso se il coniuge che si è allontanato riesce a provare che la sua decisione è stata causata dal comportamento dell’altro partner o che è avvenuta in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era diventata intollerabile. In questi casi, l’abbandono non è la causa della rottura, ma la conseguenza.

Abbandono del tetto coniugale: quando è possibile chiedere l’addebito (e quando no)

Con la sentenza n. 194/2025, il Tribunale di Ravenna ha respinto la domanda di addebito della separazione a carico di una moglie che aveva lasciato la casa familiare, poiché la richiesta del marito è giunta 5 anni dopo i fatti.

donna seduta sul letto mentre marito dorme
Abbandono del tetto coniugale: quando è possibile chiedere l’addebito (e quando no) – gliascoltabili.it

Il ritardo, secondo i giudici, dimostra che l’abbandono non fu la causa scatenante della crisi, ma la conseguenza di una disaffezione già consolidata e di una convivenza già intollerabile. Il marito, non avendo reagito nell’immediato, ha di fatto indebolito la propria pretesa, non riuscendo a provare il nesso causale richiesto per l’addebito. La casa è stata comunque assegnata a lui, in quanto proprietario e convivente con la figlia maggiorenne non autosufficiente.

Per il Tribunale chi subisce l’abbandono del coniuge non può rimanere inerte per anni e poi, in un secondo momento, chiedere l’addebito. La domanda tardiva diventa la prova che la crisi era già conclamata e che l’allontanamento ne è stato solo l’epilogo. Il punto centrale della sentenza è il tempo. Il fatto che il marito abbia atteso ben cinque anni prima di avviare il giudizio di separazione con richiesta di addebito è stato considerato un “elemento indiziario confermativo” di una specifica realtà fattuale.

Secondo i giudici, un ritardo così marcato è incompatibile con la narrazione di una crisi scatenata “all’improvviso” dall’abbandono della moglie. Al contrario, questa inerzia processuale suggerisce che il marito, all’epoca dei fatti, prese semplicemente atto di una situazione di “grave disaffezione e profondo distacco” che si era già creata e consolidata nel tempo.

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